Il libro “Allunaggi” approda alla “Bologna Children’s Book Fair”

Il libro “Allunaggi” approda alla “Bologna Children’s Book Fair”

Da un laboratorio di traduzione nelle scuole, Tradurre in classe (progetto ideato da BookMarchs – L’altra voce, il festival dei libri e di chi li traduce per l’editoria), è nato un libro illustrato, Allunaggi, pubblicato da Giaconi Editore, a cura di Stella Sacchini e con la prefazione di Chiara Lagani.

Il libro, che verrà presentato da Chiara Lagani e Stella Sacchini a Bologna (Biblioteca Salaborsa) l’8 marzo nell’ambito di Bologna Children’s Book Fair, contiene traduzioni di brani a tema lunare realizzate in modalità collaborativa all’interno dei laboratori svolti nelle classi. Le lingue da cui si è tradotto sono molte: oltre all’inglese sono presenti le lingue madri di ragazze e ragazzi: ucraino, russo, albanese, spagnolo, tedesco, ungherese, arabo, romeno. Fra gli autori di ogni epoca reinterpretati in italiano dai giovanissimi traduttori e traduttrici ci sono Saffo, Emily Dickinson, Charles Baudelaire, Victor Hugo, Emily Brontë, Nikolaj Gogol’, Goethe, Attila József, Federico García Lorca.

Di seguito la postfazione al volume, scritta dalla curatrice Stella Sacchini.

L’indugio, o l’arte di stare: un esperimento di traduzione collaborativa

Da febbraio a giugno 2022 il progetto “Il traduttore in classe” ha coinvolto un centinaio di studentesse e studenti delle scuole secondarie di primo grado dell’IC Pagani di Monterubbiano, nelle sedi di Pedaso e Campofilone, con laboratori di traduzione collaborativa, affiancati, negli stessi mesi, da laboratori della carta, con Gilberto Carboni, e d’arte, con le professoresse Cristina Lanotte e Cecilia Antonelli. 

Sono state almeno un centinaio le ore che le classi hanno dedicato a questi laboratori, il cui risultato finale è questo libro, che contiene, appunto, le traduzioni e le illustrazioni realizzate dalle allieve e dagli allievi dell’Istituto. 

Il progetto, finanziato dal Ministero per i beni culturali e fortemente voluto dalla Dirigente Scolastica Annarita Bregliozzi, ha portato tra i banchi di scuola molti dei mestieri dell’editoria: il traduttore editoriale, il redattore, l’illustratore, l’editore, l’addetto stampa. 

Nella settantasei ore dedicate alla traduzione editoriale, i ragazzi e le ragazze della 2a A, B, C di Pedaso e della 2a A di Campofilone hanno tradotto, sotto la mia guida e con la supervisione dei professori Piergiorgio Cinì e Luca Rosa e della professoressa Alessia D’Adamo, molte poesie e alcuni racconti – accomunati dal tema della luna – di autori stranieri, principalmente inglesi e americani, ma anche provenienti da altre aree geografiche e linguistiche, le stesse di alcune studentesse e studenti: Romania, Albania, Marocco, Germania, Grecia, Ungheria, Argentina, Ucraina, Russia, Francia. È stata un’esperienza di traduzione totale, collettiva, comunitaria, perché nel lavoro di traduzione sono stati coinvolti un po’ tutti: dalla Preside, alle insegnanti stesse, che hanno lavorato a testi dal greco antico e dal latino, alle collaboratrici scolastiche e alle docenti di sostegno. 

La scuola, luogo in cui si formano i futuri cittadini di questo paese, si è trasformata in una moderna agorà, dove tutti avevano lo stesso diritto di parola e di espressione, dove ognuno veniva ascoltato e rispettato, dove la sensibilità e il talento individuali erano sempre a servizio del bene collettivo, che, nel nostro caso, era quello della traduzione, e del libro. I muri sono crollati, le barriere si sono abbattute, le disabilità e le difficoltà sono diventate opportunità e risorse, il tempo è scorso lento e pieno, libero dalle preoccupazioni economiche della produttività e del successo. Nella lentezza, nell’indugio, nel dubbio che stanno alla base della buona pratica della traduzione e del coesistere al fianco dell’altro, e non contro l’altro, abbiamo scoperto nuove forme di apprendimento, nuove strade educative, spazi di condivisione inesplorati. 

La traduzione poetica, in special modo, è stata una palestra eccezionale per le ragazze e i ragazzi che hanno partecipato al progetto: nel lento e faticoso passaggio da una lingua all’altra, hanno scoperto che una lingua non corrisponde all’altra come se fosse un’equivalenza perfetta, che le aree semantiche non si sovrappongono mai del tutto, nemmeno tra lingue imparentate come l’italiano e lo spagnolo, e che è impossibile dire la stessa cosa, ma si deve tentare comunque la traversata; hanno imparato com’è difficile ri-scrivere nella lingua d’arrivo versi che abbiano lo stesso numero di accenti, la stessa musicalità, com’è faticoso trovare le rime, mantenere le figure retoriche e di suono. All’inizio lo sforzo è stato quasi insostenibile, tante erano le competenze e le energie richieste, e le parole non arrivavano, puntavano i piedi, erano sempre insufficienti, sbiadite, manchevoli, incerte, pallidi riflessi di un originale irraggiungibile e ostile. Di fronte a questo salto, questo attraversamento traballante e timoroso che la traduzione è, le mie ragazze e i miei ragazzi erano come storditi, spaesati, confusi. 

Hanno allora imparato l’arte dell’indugio, dell’impaludamento, dello stare, senza ulteriori specificazioni. E il pantano, l’impasse linguistica ed emotiva in cui per un attimo sembravano sprofondare, è diventato terreno fertile, punto di partenza di questa pratica orizzontale e antiverticistica che è la traduzione collaborativa. Imparando a stare nella difficoltà e nell’incertezza, nella mancanza di risposte certe e direttive chiare, nell’assenza di riferimenti normati e finalità dichiarate, hanno anche imparato a stare al mondo insieme, nella vita, senza avere fretta, senza accontentarsi delle soluzioni ovvie e facili, della prima parola che ti viene in mente. Hanno abbandonato le vie battute, le larghe strade a molte corsie, per imboccare sentieri minori, più tortuosi, e dalla meta incerta. Ma in fondo si sono ben presto acclimatati con questa pratica dell’incertezza, e hanno dimenticato la meta, concentrandosi solo sul viaggio. Ovviamente non erano soli, avevano una guida, un punto di riferimento, che però camminava insieme a loro e non dispensava risposte dall’alto, bensì si limitava a stare con loro, al loro fianco, e a farsi corpo mediano pronto ad accogliere e a convogliare la materia pulsante e magmatica espressa dalla loro creatività linguistica, dalla loro sensibilità culturale. 

Il risultato di questo percorso è stato a dir poco sorprendente, per me e per loro. Hanno imparato a conoscersi attraverso i versi di Emily Dickinson, a esprimere le proprie paure e preoccupazioni per il futuro del nostro pianeta attraverso lo sguardo del poeta albanese Visar Zhiti, hanno scoperto che in fondo di fronte alla fragilità della propria condizione, donne e uomini da sempre alzano gli occhi verso il cielo e osservano la luna provando a immaginarsi, per un attimo, un altrove che li liberi da ansie e caducità, e che cambiano i luoghi, passano i secoli e i millenni, ma quello che si agita nell’animo umano è sempre lo stesso. Hanno tradotto poesie e hanno imparato l’arte rara dell’indugio, e della vita.  

Stella Sacchini

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